formazione psichiatrica

 

RECENSIONI

Meluzzi Alessandro: L’infinito mi ha cercato. Piemme. Casal Monferrato, 2009.

In questo recente volume che si aggiunge ai sei precedenti Alessandro Meluzzi racconta la sua vita in cammino da Marx a Gesù. Ha una biografia straordinaria per le innumerevoli esperienze del frutto di un amore tra la madre riminese, emigrata a Torino e il padre partenopeo, donnaiolo, entrambi già sposati e quindi con difficoltà a dare il loro cognome al nuovo nato. La sorella della madre, Alba, rimasta vedova di un ricco professore piemontese lo adottò col cognome Meluzzi. Nella parrocchia salesiana Sacro Cuore di Gesù venne battezzato e nella Scuola Rosmini con i figli di, notai, avvocati, imprenditori Alessandro, figlio di nessuno in una Torino in cui conta come si nasce, studiava molto ed era un bravo studente. In estate andava a Rimini e con due cappuccini suonava l’organo e molti credevano che avrebbe fatto il frate o il prete rosminiano, ma non decidendo quale seminario scegliere si iscrisse al liceo Alfieri, in una scuola mista dove cominciarono i primi turbamenti sessuali e poi la curiosità per i movimenti studenteschi. Il professore di italiano, Verlengia, allievo del grande latinista Concetto Mar-chesi (collega di mio padre all’Università di Catania e che ricordo con stima ed ammirazione) e marito della fondatrice della CGIL Scuola della regione Piemonte, detta poi “la nonna di Fassino” lo fece entrare nel partito comunista italiano di Torino, pur affascinato dai dissenzienti Magri e Rossanda che gli ispirano il giornale in ciclostile “Scuola e analisi di classe”. Non mancano amori brevi e lunghi e tra Filosofia e Medicina sceglie quest’ultima. Sprangato alla mano da quelli di Autonomia operaia per fortuna ne risulta solo una frattura del metacarpo ma ottiene un riconoscimento dal Comitato federale con personaggi del livello di Diego Novelli e Giancarlo Paletta. Poi nel dibattito tra Fassino e Ferrara segue quest’ultimo, meno operaista e più liberalconservatore. Nei confronti della liberalizzazione delle droghe e della applicazione della legge 180 si allinea con Violante e Caselli contro posizioni sessantottine. Malgrado le “distrazioni” politiche e sentimentali si laurea con 110 e lode nel luglio del sesto anno. Relatore il prof. Ravizza. Nel 1980 entra nella scuola di spe-cializzazione in Psichiatria, diretta dal prof. Torre, fenomenologo heideggeriano, che io ricordo come autorevolissimo Maestro e che da Presidente della Commis-sione per Ordinari ebbe a dire che avendo fatto vincere Maj ed Aguglia giovanis-simi, avevamo fatto vincere dei “lattonzoli”! Nei confronti della legge di riforma dell’assistenza psichiatrica Meluzzi sin dall’inizio ha avuto un atteggiamento duplice di entusiasmo per la rivoluzione ba-sagliana con la chiusura dei manicomi ed insieme di perplessità perché l’abolizione dei ricoveri lunghi non comporta la soluzione dei problemi della salute mentale e che si è trattato di un’altra follia ideologica come la liberalizzazione delle droghe. Aveva già allora compreso che la visione esclusivamente sociologica ed antologica della malattia mentale, senza tener conto degli aspetti biologici, genetici e della psi-cologia cognitiva e della neurocibernetica non avrebbe risolto le grave difficoltà nell’affrontare i compiti psichiatrici. Conobbè ed apprezzò Paolo Pancheri che lo guidò nella stesura della tesi sul biofeedback e a Parigi frequentò per due anni il laboratorio di Henri Laborit, inventore della cloropromazina. Aveva avuto un posto nel manicomio di Collegno che ospitava ancora, dopo la 180, tremila malati e venne assegnato al reparto “sudici”e non al reparto”furiosi”. Li tenevano legati e li lavavano con un tubo come le automobili, malgrado gli en-tusiasmi ideologici dei basagliani e quindi si dimise, accettando il precariato uni-versitario che gli fece conoscere Mario Reda con la psicoterapia cognitiva in una prospettiva neocognitivista. La ennesima fidanzata Sonia lo avvicina all’ebraismo e con altri amici in un pulmino attraverso la Jugoslavia visitano la Grecia e Costantinopoli. Sempre col vecchio Transit della Ford vanno in Tunisia. Il viaggio decisivo è in Perù e in Ecuador e dalle sue osservazioni di psicologia transculturale nasce un saggio sugli allucinogeni nella società Shuar la psicosi sperimentale indotta, pubblicato in un volume di Pancheri. L’interesse per l’antropologia, la psichiatria e l’etnomedicina assieme alla poli-tica sanitaria lo guidano in altri viaggi ai Carabi, Panama, Cile, Perù, Brasile e poi in Tibet e in India fino a finanziare un centro di meditazione buddista. L’incontro con Muccioli di cui prende le difese per la morte di un tossicodipen-dente lì assistito e con Baget Bozzo che al seguito del Cardinale Siri era piuttosto critico del Concilio e che aveva difeso Muccioli assieme a don Pierino Gelmini lo avvicina alle Comunità riabilitative. Meluzzi ne realizzerà tante in varie parti d’Italia a partire dalla Comunità Agape Madre dell’accoglienza in Albugnano. A Mirafiori Sud diventò primario facente funzione di Psichiatria anche perché aveva messo su famiglia e aveva avuto da Maria la piccola Araceli che ha potuto battezzare a Corio Canadese da un parroco che ha trascurato la irregolarità della si-tuazione dei genitori che erano sposati solo civilmente e religiosamente dopo 10 anni. Con Tangentopoli perde molti amici e soprattutto Beppe Garesio, testimone del-le sue nozze in Perù, mentre l’Italia si consegnava ad un PCI disanimato e svuotato con altri tutti intenti ad arricchire oligarchie finanziarie, svendendo l’Eni, l’Enel, e altri beni statali. Per questo si sente di aderire a Forza Italia e confrontarsi con Chiamparino che batte per settecento voti, giudicando Berlusconi un geniale im-prenditore e amico principale di Bettino Craxi. Diventato deputato fa il Capogrup-po della Commissione Esteri e diventa membro della delegazione italiana all’ONU. Conosce ed apprezza De Mita, Andreotti e Cossiga. Con Fabrizio Del Noce fonda il Comitato del 27 Marzo delle libertà, ma per non aver seguito il galateo istituzio-nale la Pivetti lo espelle dall’aula parlamentare. Nel 1995 fonda con Baget Bozzo il Sindacato azzurro con i valori del persona-lismo cristiano di Maritain e Mounier. Con quattro comizi al giorno riesce a battere nel collegio senatoriale di Cilento-Vallo del Diano, in cui di novantasei sindaci solo quattro erano del centro-destra, il segretario provinciale del PDS e viene eletto senatore nella zona in cui era sepolto suo padre. Nella folla gli strappano la manica della giacca e lo colpiscono con tanti confetti che gli sembravano sassi. Nella festa vittoria i pescatori diedero da man-giare a ottomila persone. Decise poi di rompere con Forza Italia, dominata da una ristretta burocrazia che impediva di discutere e di incontrare il grande Capo. A palazzo Grazioli Berlusconi lo invita a lasciare Cossiga, Mastella e Bottiglione che avevano fondato l’Unione democratica per la Repubblica. Vi fu in definitiva una separazione consensuale. Alle europee, per la decisione imprevista di Cossiga di non votare per la lista di cui era proponente e persino candidato, non fu eletto e aveva sprecato ventimila co-stosissimi manifesti in cui era scritto “Con Cossiga e Dini in Europa”. Per essere passato da sinistra a destra, sinistra e centro gli viene data l’etichetta di “volta gabbana”, ma avendo conosciuto dal di dentro “tutti i vizi, le virtù, i tic, le debolezze e le passioni di un bipolarismo che ha accelerato forzosamente la storia, dopo la finta rivoluzione di tangentopoli” ritorna a prendersi cura dei pazienti con maggiore impegno, leggendo Claudel, Blondel, Danielou, Balthasar e confessa che se non avesse ritrovato la fede non avrebbe potuto continuare a fare lo psichiatra. Nell’incontro col neomonachesimo e con il missionario Padre Orazio Anselmi si impegna a costruire diverse Comunità di riabilitazione ed in particolare l’Agape Madre di Accoglienza. Esperienze televisive, la relazione al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, la Scuola di umanizzazione della Medicina e l’Accademia internazionale Umana di Leo e Marino arricchiscono ulteriormente la personalità di Meluzzi. Non mi soffermo sulla parte finale del volume, pur piena di esperienze e consi-derazioni interessantissime, con la raccomandazione di leggere questo libro che è la storia straordinaria di uno psichiatra e psicoterapeuta che secondo la psicoterapia tradizionale non avrebbe dovuto far conoscere nulla di se stesso. Sono convinto in-vece che lo psichiatra Meluzzi abbia dato una indicazione esemplare come viag-giare non da turista ma da intellettuale che si sforza di comprendere ambienti, po-poli e culture e come fare attività giornalistica, politica e religiosa sia un momento necessario per uno psichiatra degno di questa professione. Spero infine che Meluzzi vorrà collaborare con questa Rivista che dal prossimo anno, 2010 (31° di vita) vuole aprirsi alle Scienze umane e alle Religioni.

Vincenzo Rapisarda

“Franklyn”: rapsodia cinematografica di intrecci mentali fantasmagorici

“I saggi, per troppa sapienza, rischiano di diventare folli” (R. W. Emerson)

Il connubio tra malattia psichiatrica e realtà in celluloide ha rappresentato una condizione di sinergia intrigante e degna di spunti di riflessione in passato, come si è visto, sia in opere di rilevanza internazionale (“Qualcuno volò sul nido del cuculo”, “Rain Man”, “A beautyful mind”), sia nelle produzioni nazionali (“La stanza del figlio”, “Si può fare”). Pertanto appare peculiarmente suggestiva la sceneggiatura rappresentata dall’esordiente regista britannico Gerald McMorrow, dove i mondi distopici e visionari dei tre giovani protagonisti finiscono per me-scolarsi in maniera complementare, in un epilogo di palpabile pathos escatologico. Queste sono le caratteristiche delle personalità dei tre characters: David (inter-pretato da Ryan Phillippe, già visto in “Crash – contatto fisico”, ed in “Flags of our fathers”), un ex militare dell’Esercito Britannico, intrappolato nella percezione psicotica e dereistica dell’ambientazione ucronistica in cui vive il suo alter ego, Jonathan Preest, un vendicatore mascherato, che tanto rievoca le trasposizioni cinematografiche dei personaggi creati dall’autore di fumetti Alan Moore, come il V di “V for vendetta”, o il Rorschach di “Watchmen”, che nel mondo teocratico della Città di Mezzo, babelico groviglio di fedi e credenze religiose di ogni genere, deve portare a termine la sua missione di fare giustizia per l’uccisione di una bambina (la sorellina nel mondo reale, deceduta in un incidente) ad opera di uno dei tanti leader di comunità religiose che popolano quel luogo (nella realtà il padre, un ex sagrestano); Milo (Sam Riley), un giovane appena abbandonato sull’altare nuziale, che riallaccia una relazione con la sua amica d’infanzia, Sally,che in realtà non è altro che una sua produzione immaginifica, nata quando lui, da bambino, cercava di colmare l’horror vacui emotivo causato dalla morte del padre; Sally ha il volto e le fattezze di Emilia (la Eva Green di “Le Crociate”), ragazza dal temperamento ribelle e borderline, che sfida continuamente i limiti della sua esistenza in una serie progressiva di tentativi di suicidio, allo scopo di portare a termine un estremo ed aberrante progetto artistico. Nel convulso finale i tre personaggi, con i loro “fardelli fantasmatici”, incrociano le loro esperienze in un hic et nunc comune, laddove David/Preest irrompe nell’appartamento di Emilia, con l’intenzione di abbattere, con un fucile, il padre/“infanticida” che si trova in un locale accanto, ma fallisce il primo colpo ferendo Milo, anche lui nel locale, per un rendez vous “virtuale” con Sally, quindi Emilia, per impedire che David proceda ulteriormente nei suoi intenti omicidi, causa una fuga di gas, che fa deflagrare la sua stessa abitazione, riuscendo a sfuggire in strada, sotto la pioggia, dove il Milo ferito avrà la possibilità di incontrare la sua “anima gemella” fittizia, finalmente personificatasi nella realtà. Ma allora chi è il Franklyn del titolo? Nessuno! Solo un nome sul citofono del condominio dove vive Emilia, e dove David si è nascosto… Complessivamente una buona prova d’esordio, un thriller metafisico di buona qualità, ben congegnato ed interpretato, con diversi richiami alle atmosfere cupe e gotiche di altri film del genere (da “Spider”, con Ralph Fiennes, a “L’uomo senza sonno”, con Christian Bale), amara allegoria sui destini che si intersecano, e sui sogni che si avverano: in fondo, come diceva il Bardo Immortale, “non siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni?”

“Il primo passo verso la follia è credersi saggio” (Fernando de Rojas)

Maurizio Cristofolini

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